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08
Ott
2015
08 - Ott - 2015



2015-10-08_titoloSanità, tecnologia e cultura. Un trinomio che sembra amalgamarsi con difficoltà e che invece può rappresentare una nuova chiave di lettura per comprendere le sfide del nostro tempo.

In un momento storico in cui la cooperazione internazionale è in crisi, si riaffermano i particolarismi e si torna a parlare di barriere e di nuovi muri, i progetti sanitari possono divenire un nuovo modo di veicolare non solo una sanità migliore ma anche una rivoluzione tecnologica e culturale.

E per guardare il mondo con occhi nuovi l’Expò rappresenta senz’altro il luogo dell’incontro multietnico per eccellenza dove lingue, culture e tradizioni si mescolano in un meticciato che forse è un preludio alle nostre società di domani. Léopold Senghor, primo presidente del Senegal ed intellettuale africano del 900 amava ripetere che “l’Europa e l’Africa hanno un destino comune” ed oggi questa affermazione, in un mondo globalizzato, appare più vera di ieri.

Ed è proprio nel contesto dell’EXPO che si è svolta martedì 29 settembre, presso la KIP International School, una giornata di studio e dibattito con uno sguardo teso ai paesi più poveri, sul futuro e le nuove sfide della sanità in un mondo globalizzato. Più sanità, più tecnologia e più cultura è stato lo slogan della giornata.

2015-10-08_numeriIl mondo della cooperazione è profondamente mutato. Non sono più i tempi del dottor Albert Schweitzer che impiegava 30 giorni di navigazione per raggiungere il Gabon dove la lebbra e la malattia del sonno mietevano centinaia di migliaia di vittime. Oggi con poche ore di volo si raggiungono i luoghi più sperduti dell’Africa e grazie alla rete delle reti anche le zone più isolate del pianeta sono potenzialmente raggiunte da internet. Certo, il digital divide è particolarmente presente in Africa ma bisogna anche ammettere che la connettività in questo continente ha avuto in quest’ultimo quinquennio una crescita esponenziale. Ricordo spesso, quando parlo di digital divide, che il primo wireless della mia vita l’ho visto a Maputo nel 2003. Oggi la tecnologia ci rende potenzialmente tutti più vicini ed è per questo che all’Expò ci si è soffermati su di una nuova forma di cooperazione sanitaria ad alto impatto e a costi contenuti. Si tratta di un servizio di teleconsulto multispecialistico già attivo in 12 centri sanitari africani – in Malawi, Mozambico, Tanzania, Congo e Togo – ai quali collaborano un centinaio di medici volontari appartenenti a 13 diverse branche specialistiche che rispondono ai quesiti che i colleghi africani inviano. E’ l’invenzione, anche questa tutta italiana, della Global Health Telemedicine onlus che all’Expò ha lanciato lo slogan di “sanità a km zero”.

Due storie per tutte: un ragazzino di 13 anni in Togo morso da uno scorpione per il quale nel giro di poche ore l’infettivologo, l’internista e il medico della terapia del dolore hanno dato preziose indicazioni ad un’infermiera locale su come trattare il caso. Una bambina di poco più di un anno affetta da grave denutrizione alla quale i pediatri e i chirurghi virtuali, partendo solo da una foto e dai dati clinici comunicati, hanno fatto diagnosi di probabile palatoschisi successivamente documentata.

L’interesse di alcuni istituti di ricerca italiani quali l’Istituto neurologico Carlo Besta di Milano o l’IFO San Gallicano di Roma che partecipano al progetto è il segno di un interesse concreto a studiare patologie che, in un mondo globalizzato, riguardano tutti. L’ebola è forse l’esempio più noto della veridicità di tale affermazione.

Una giornata di studio, non solo per mettere in luce alcune best practice tutte italiane, ma anche per raccontare alcune storie di successo “al contrario” come quella dell’Ospedale San Giovanni di Roma impegnato dal 2004 in progetti di cooperazione internazionale che proprio a partire dall’esperienza di alcuni medici ideatori di programmi di telemedicina in Africa hanno utilizzato il proprio know how per creare un servizio di telemonitoraggio clinico per i pazienti romani rendendo l’ospedale leader nei servizi telematici.

Paola Germano, direttore esecutivo del programma DREAM 2.0, della Comunità di Sant’Egidio ha sottolineato che il lavoro svolto da centinaia di medici locali, ha reso possibile la diffusione del programma in 10 paesi con 43 centri di cura e ben 260.000 pazienti seguiti con un telemonitoraggio attivo. Tale accuratezza nella gestione e analisi dei dati ha permesso, tra l’altro, il controllo attivo dell’aderenza alle cure delle donne in gravidanza e la conseguente nascita di ben 55.000 bambini nati sani da madre HIV positiva. Oggi DREAM 2.0 non è solo lotta all’HIV ma si apre alla salute globale e alle tante patologie croniche che si diffondono sempre più anche nei paesi in via di sviluppo.

Cacilda Masango, donna mozambicana e co-fondatrice dell’associazione di donne HIV positive “I dream” ha sottolineato, partendo dalla propria esperienza, il ruolo della donna africana. E’ lei che partecipando a talk show televisivi o trasmissioni radiofoniche che in Africa rappresentano ancora il più potente mezzo di comunicazione, sostiene ed incoraggia tanti a combattere lo stigma che spesso circonda ancora i malati HIV positivi e non solo.

Alla giornata di studio ha aderito, nella figura del suo presidente Gianfranco Gensini, anche la Società Italiana di Telemedicina che ha pubblicamente espresso il proprio sostegno e attivo incoraggiamento ai programmi di medicina transfrontaliera come raccomandato dalle recenti linee di indirizzo nazionali sulla telemedicina.

                Ma i centri sanitari, può sembrare superfluo sottolinearlo, per poter funzionare hanno bisogno di energia elettrica cosa che non sempre è disponibile nei paesi in via di sviluppo. Su questo aspetto si è soffermato Mauro Spagnolo, direttore editoriale di “rinnovabili.it” che usando le parole del segretario generale dell’ONU, Ban ki.moon, ha ricordato che “L’energia è il filo d’oro che unisce la crescita economica, aumenta l’equità sociale e garantisce le condizioni che consentono di prosperare”. La scarsità di energia elettrica è pertanto un fattore discriminante quanto il digital divide ed è di ostacolo a programmi sanitari innovativi. Chi ha un minimo di esperienza nel mondo della cooperazione sanitaria internazionale si è sicuramente scontrato con guasti ad apparecchiature biomedicali causate dall’instabilità della corrente elettrica che, non solo deve essere garantita a tutti, ma essere anche di buona qualità. Ai nuovi impianti di pannelli solari ed energie rinnovabili si è pertanto dedicato un ampio spazio della giornata. Fornire energia elettrica è il fondamento anche per lo sviluppo e il successo di tanti progetti di cooperazione sanitaria.

Investire in programmi di cooperazione è un modo di fare cultura, di abbattere le barriere e di lavorare attivamente per lo sviluppo dei paesi più poveri e cercare così, per quanto è possibile, di dare un motivo in meno ad abbondonare le proprie terre.

Insomma, una giornata per ripensare e rilanciare la cultura della cooperazione internazionale con nuove idee, nuovi strumenti, nuove proposte e per cercare nuovi alleati.

Michelangelo Bartolo

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