HomeDREAMQuelimane, Mozambico – Una settimana al centro DREAM
08
Set
2010
08 - Set - 2010



La storia di ogni centro DREAM attraversa varie fasi. C’è l’inizio, l’inaugurazione, la speranza che rinasce in molti cuori e su molti volti, le forze che ritornano, la voce che comincia a girare, l’affluenza che cresce, il programma che acquista una routine, fatta di cure, di successi terapeutici, di gratitudine, di coinvolgimento perché anche altri vengano raggiunti dalla buona notizia che l’AIDS può essere fermato.


Tutto questo è accaduto anche a Quelimane, nel Mozambico settentrionale. Il centro DREAM è sorto ormai da diversi anni. Quasi 3000 sono i pazienti in cura (un po’ meno dei due terzi dei quali è in terapia antiretrovirale), all’incirca 400 i bambini nati sani dopo che le madri avevano seguito l’apposito trattamento, preventivo della trasmissione verticale del virus dell’HIV.


Vale forse la pena, allora, andare a guardare il centro nella quotidianità del suo lavoro, nelle storie che ne costituiscono la trama di speranza, nei tanti incroci di vita e di relazioni che contribuiscono a creare un clima nuovo e positivo. Forse non c’è un fatto preciso da raccontare, ma i tanti fatti di un vissuto di difficoltà, di guarigione, di ricostruzione di un percorso esistenziale.


Si può dire di Vanildo, allora, piccolissimo paziente nato nel Programma, ma malnutrito. La malnutrizione è una minaccia, che attenta alla sopravvivenza di chi ha appena sconfitto il virus. La vita di un bambino diventa più difficile, la crescita più lenta e complicata, le prospettive non sono certe. Piccoli come lui rischiano di salvarsi dall’AIDS e di morire di malnutrizione. Per questo sono seguiti con cura una volta alla settimana, vengono dati loro integratori alimentari speciali oltre il “pacco” di cibo normale, e sono visitati e seguiti a casa dagli attivisti.


Si può dire di Mauro, bambino già un po’ più grande, ma con tanti limiti, con problemi motori ed un ritardo mentale. E però sta bene, gioca con gli altri bambini, è allegro, balla con minor “tecnica” degli altri ma con uguale entusiasmo. DREAM gli ha cambiato la vita, oltre ad avergliela allungata. Grazie allo sforzo di tutti frequenta una scuola speciale dove può studiare. Il suo è un volto bello, i suoi occhi profondi, di chi è amato.


Si può dire di Tania, è un’adolescente, non è malata, per fortuna. E’ della Comunità di Sant’Egidio di Quelimane, della Scuola della Pace di Santagua. Viene di tanto in tanto al centro DREAM per accompagnare qualcuno a fare il test e a curarsi. E’ molto giovane, ma è già guida di qualcuno, come fa anche alla Scuola della Pace, dove si definisce "professora", perché è lei ad aiutare i più piccoli. E’ molto fiera di quello che fa con i bambini e ci tiene che tutti vadano a vedere.

Si può dire di Veronica, malata di AIDS, paziente DREAM tra le prime, all’inizio attivista ed ora “coordina dora” del centro di Quelimane. Veronica è una donna bella, che crede in DREAM, cioè nella possibilità di cambiare la vita delle persone con il sogno, la parola e la vicinanza. Insiste sempre con gli attivisti perché abbiano una maggiore responsabilità verso i pazienti: “Con che sentimento andate verso la gente?”, chiede. “Cosa dite loro? Quanto restate con i pazienti?”.


Si può dire di Orlando, uomo di mezza età (ma cosa vuol dire questo in Africa?), attivista e magazziniere. Un volto magro e scavato, ma sempre sorridente. Racconta a tutti che l’anno scorso era all’aeroporto di Maputo con gli altri, per vedere Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità, l’uomo che aveva contribuito a fare la pace nel suo paese. E mentre dice tutto questo gli occhi gli si fanno felici e commossi.


Si può dire infine di Delfina, giovane attivista, una delle ultime che si è aggiunta al gruppo, anche lei malata di AIDS e madre di 3 figli, l’ultimo nato sano grazie a DREAM. Mostra la foto della sua famiglia e dice: “Lui è l’ultimo, ha 2 anni, sta bene!”. E come lo dice ai giovani venuti dall’Europa a visitarli,lo dice anche, con gli occhi pieni di vita, di forza, di convinzione, a quel marito che non vuole che la moglie, incinta, malata, entri nel Programma, perché “la malattia non esiste, è stata solo una maledizione”.


A Quelimane si combatte una lotta che è quella per la vita, non solo la propria, ma la vita di tanti, la lotta perché tanti vivano, perché il loro diritto a vivere e ad essere amati sia tutelato e rispettato. Le armi sono semplici, innocue, si potrebbe dire: la parola, l’amicizia, la fedeltà. Ma quanta forza in tutto questo! E’ questa forza che tiene tutto, è questa forza che fa chiudere la settimana al centro DREAM con un senso di pienezza per quel che è stato e di fiducia per quel che verrà.

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